Strumenti per la partecipazione

di | 3 Marzo 2013

la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
Giorgio Gaber, 1972

Come dicevo in un post precedente, la partecipazione sarà un elemento chiave per affrontare in modo adeguato le sfide che ci attendono per il futuro.
La partecipazione, però, non è un processo autonomo o spontaneo, soprattutto in una società, come quella italiana, che è basata a tutti i livelli sul criterio della delega. E’ necessario promuoverla adeguatamente in tutti gli ambiti, per farne comprendere i benefici. E’ fondamentale formare le persone ad esercitarla in modo efficace. E’ indispensabile fornire gli strumenti necessari ed adeguati ad esercitarla in maniera semplice, rapida ed efficace.

Le esperienze di questi giorni, che hanno visto l’affermazione della formazione politica che più ha investito in termini di partecipazione e condivisione sulla rete, hanno dimostrato che nei cittadini è finalmente maturata l’esigenza di una maggiore e più incisiva presenza nella cosa pubblica.
Perché il processo partecipativo diventi effettivamente efficace c’è però ancora molto da fare. Bisogna mettere le persone in grado di operare correttamente. Bisogna fare maturare le abilità che consentano, idealmente a tutti, di mettersi in relazione attiva, di discutere dei problemi risolvendo gli immancabili conflitti che si vengono a creare, di lavorare produttivamente in modo coordinato verso un obiettivo comune: quello che i tecnici definiscono capacity building. Attività complesse, ma da svolgere in modo discreto,  perchè bisogna sempre tener presente che la partecipazione è una opportunità, e non certo un obbligo.
Bisogna poi dotarsi di strutture adeguate a costruire efficacemente un processo di discussione, franco ed aperto, che sia in grado di promuovere la circolazione del pensiero e la costruzione di una identità collettiva. Strutture in grado di favorire una discussione ordinata, di tesaurizzare il contenuto di idee e di renderlo disponibile a chiunque voglia contribuire.

Discutere, discutere, discutere.

La chiave di volta del processo di partecipazione è proprio la discussione, intesa come condivisione di idee. Spesso tendiamo a dare una connotazione negativa a questo termine, quasi fosse un sinonimo di litigare, e temo che questa sia una delle tante responsabilità dalla politica nazionale di questi ultimi tempi che, per troppi anni, ha spostato i piani della discussione dal confronto civile a quello dello scontro interpersonale.
L’esperienza ci dice che le cose stanno diversamente, ed è facile accorgersene: in ogni gruppo in cui vi sia una singola posizione egemone o, peggio, manchi del tutto una pluralità di vedute, non esistono stimoli di crescita. Dal confronto di posizioni diverse, senza preclusioni e nel rispetto delle posizioni altrui, si cresce invece tutti: il brainstorming, ad esempio, è una tecnica acclarata che produce risultati efficaci.
La discussione è lo strumento per comprendere, digerire, analizzare, estrarre quanto di buono c’è nelle tesi degli altri partecipanti e confrontarlo con le proprie idee. E se il processo è condotto con tecniche adatte (anche semplici, come quelle descritte da De Bono in Sei cappelli per pensare), è più che probabile che il risultato possa essere quello di costruire assieme proposte collettiva migliori dei singoli, non coordinati, punti di partenza.

Ma si può costruire un processo simile in rete? E quali sono gli strumenti più idonei? La risposta più immediata riconduce sicuramente alle piattaforme di social network o di microblogging.

I limiti dei social network.

I social network, come Facebook o Google+, non sono sicuramente lo strumento migliore per questo tipo di attività. Sono nati per consentire di costruire nello spazio virtuale delle relazioni analoghe a quelle della società civile; vanno benissimo per condividere idee, stati d’animo, media di tutti i tipi – sempre che il gruppo sia piccolo. Tutte le informazioni che carichiamo su queste piattaforme, poi, vengono conservate su una linea temporale, piuttosto che in base al loro contenuto.
Questa organizzazione ha il punto di forza di mimare in pieno l’atteggiamento che ognuno di noi ha nella vita di tutti i giorni.  Che incontri un amico de visu o che condivida uno stato d’animo su Facebook, la questione è cosa succede in quel dato momento. Ad un amico chiederò Come stai?. Facebook mi chiederà A cosa pensi? ma è sempre sottinteso ora. La mia risposta sarà una informazione strutturalmente e volutamente effimera: deve essere di breve durata per vincolo progettuale, perché deve essere velocemente rimpiazzata da una più nuova ed attuale. E se l’informazione di ha vita breve, lo è anche quella della serie di commenti che può generare.
Questi sono certamente pregi nell’uso relazionale dei social network, che sono la finalità verso cui questo strumento si è evoluto. Sono. invece. vincoli strutturali importanti se gli scopi sono diversi dalle semplici relazioni sociali e se il contenuto di informazione è destinato a persistere nel tempo, in quanto costituisce un bagaglio culturale da preservare. Facebook, nel caso particolare, è sostanzialmente privo di un sistema di ricerca efficace, mentre è un territorio off-limits per i motori di ricerca, compreso Bing, con cui ha un accordo commerciale: quasi una sorta di buco nero in cui l’informazione che entra, pur memorizzata a tempo indefinito, rimane di difficile fruizione per chi non dovesse sapere a priori dove andare cercarla.
Twitter, invece, ha sicuramente dei meccanismi di ricerca ed incrocio dei dati più efficienti ed avanzati, ma -anche qui – ha finalità diverse da quelle di costruire conoscenza. Su Twitter è sicuramente molto più semplice trovare qualcosa, ma con meno caratteri a disposizione di un SMS è ben difficile scambiarsi qualcosa di più di fugaci idee.

Privacy, affidabilità ed identità

Ci sono poi altri problemi che non devono essere sottovalutati.
Spesso questi servizi sono forniti da entità trans nazionali, con regole  non sempre chiare: quanti di noi hanno letto le numerose pagine di legalese con le condizioni di uso dei servizi che usiamo?
Ci sono problemi di affidabilità.  Il lavoro di costruzione collettiva ha un valore enorme, che non deve correre il rischio di essere vanificato da eventi che sfuggono al controllo di chi gestisce il sistema. Basta pensare al caso Splinder, o alle tante storie legate alle chiusure ex abrupto di pagine social, per rendersi conto che non si tratta di eventi rari.
Un altro elemento da non sottovalutare è quello della privacy. I fornitori di servizi gratuiti, che certo non lavorano per la gloria, raccolgono dati sul comportamento gli utenti sui loro sistemi. Che tipo di dati siano e come vengano utilizzati non sempre è chiaro e palese. Queste attività potrebbero facilmente non essere conciliabili con gli argomenti e le tematiche da affrontare.
In ultimo rimane l’annoso problema delle identità personali, che devono essere verificate in modo oggettivo, altrimenti viene falsato il criterio di eguaglianza e di democraticità che le regole di partecipazione impongono.

Strumenti per la discussione

La discussione è una delle attività connaturali all’uomo, e l’esigenza di strumenti tecnologici per favorire lo scambio di idee fra persone dislocate in luoghi diversi, sia sotto il profilo fisico che temporale, ha prodotto risultati apprezzabili già prima dell’avvento di internet. Oggi si sono evoluti in sistemi che presentano tutte le caratteristiche ideali per dare supporto a questa attività.
Mi riferisco alle piattaforme su cui si basano la stragrande maggioranza dei forum presenti sulla rete.
C’è un ampia disponibilità di applicazioni e molte di esse sono open source e rilasciate con licenza che ne consente il libero uso. La disponibilità del codice sorgente è un elemento importante, perché consente di disporre in tempi pressoché immediati di una struttura operativa e funzionate, mentre lascia al team di gestione la flessibilità di poter fare evolvere la piattaforma. Qualora fosse utile e/o necessario implementare nuove funzioni non previste dagli sviluppatori della piattaforma, sarebbe comunque possibile scrivere codice ad hoc senza problemi, preservando tutti gli investimenti, soprattutto in risorse umane. Tutte queste piattaforme, poi, conservano il capitale di informazione – cioè le discussioni – in basi di dati relazionali, caratteristica che non solo ne garantisce la conservazione nel tempo, ma offre la possibilità non trascurabile di elaborare il contenuto.
Le piattaforme di forum implementano nativamente tutte le caratteristiche utili a dare ai partecipanti un ambiente idoneo alla condivisione della conoscenza, allo stesso tempo sono in grado di fornire allo staff gli strumenti giusti per garantire la qualità della discussione.
Il gruppo di gestione, infatti, è uno degli elementi chiave per la buona riuscita di un progetto simile. Altrettanto importante é il complesso dalle regole: come nella vita quotidiana, anche una comunità virtuale deve avere un codice di comportamento – chiaro, semplice ed efficace – per garantire a tutti eguali diritti e doveri.

Un approccio polimorfico

Come è comune nel settore informatico il risultato migliore si ottiene dall’uso sinergico di vari sistemi,  con uno schema che consenta di sfruttare al meglio i punti di forza di ognuno di essi per ottenere il massimo dei risultati.
Quindi, se il luogo naturale dove discutere e conservare i contenuti può essere costituito dalla piattaforma di forum, la pubblicizzazione delle attività vede il suo ambito preferenziale nel microblogging su twitter, e nella sua condivisione da parte dei partecipanti sui propri profili dei social network.
Condendo il tutto con il bonus costituito dall’indicizzazione dei contenuti di discussione da parte dei motori di ricerca, si ottiene il mix in grado di massimizzare l’efficacia dell’intero sistema.

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