In questi giorni sta nuovamente circolando il memo del febbraio 1980 di Mike Scott, all’epoca CEO di Apple, sulla messa al bando delle macchine da scrivere. Guardandolo, mi è venuto un dubbio: l’aspetto non è proprio quello delle stampanti dell’epoca. Che sia stato redatto su una macchina da scrivere? Il testo sicuramente non è una ristampa successiva, visto che è siglato vicino al nome dell’autore.
Nel 1980 Apple non produceva stampanti, e le tecnologie di stampa erano rudimentali se confrontate con quelle odierne, dominate da laser e inkjet. Ma tutte queste sono tecnologie future: la prima laser, la Canon LPB-10, è del 1982, mentre la Apple LaserWriter uscì solo nel 1985. La prima inkjet degna di nota fu la HP ThinkJet del 1984.
All’epoca il settore delle stampanti da ufficio era monopolizzato dalle matriciali ad ago; nel 1980 regnava sovrana la Epson MX-80, ma la qualità di stampa con le testine a 9 pin era ben più modesta di quella del memo.
C’era un’altra tipologia di stampanti, usata soprattutto con i sistemi di elaborazione testi: le stampanti “a margherita” (daisy wheel), con una ruota di plastica o metallo a 96 petali, ciascuno riportante un glifo. Erano lente (10–20 caratteri al secondo) ma con qualità elevatissima, perché invece di usare un nastro inchiostrato come le matriciali, sfruttavano un supporto in mylar con inchiostro secco, trasferendo il glifo in maniera netta, mantenendo la definizione originale.
Il memo appare chiaramente scritto su un modulo prestampato: logo e etichette (TO, FROM, SUBJECT) sono in grassetto e con un font diverso dal resto del documento. Il testo potrebbe quindi essere stato scritto con una stampante a margherita o con una macchina da scrivere di tecnologia analoga. Non era raro che i produttori proponessero due modelli del medesimo dispositivo: con o senza tastiera.
A cavallo della fine degli anni ’70, il mercato dei word processor era in piena espansione. Lo standard de facto era WordStar di MicroPro, che girava su sistemi CP/M e, assieme a VisiCalc, fu una delle “killer application” che aprirono la strada ai personal computer nelle aziende.
Nel memo c’è un riferimento curioso:
“Ken, sbarazzati subito del word processor DEC.”
Chi fosse Ken non è dato sapere, ma per il software probabilmente si trattava del WPS(-8?), il word processor di Digital per la famiglia PDP-8, e che – vista la citazione – all’epoca doveva essere praticamente l’unico software di word processing non proprietario in Apple.
Dal 1979, Apple aveva infatti in casa Apple Writer, il loro primo word processor. Intendiamoci, nulla di paragonabile a quello che usiamo oggi: i sistemi grafici erano appannaggio di Xerox, mentre tutti gli altri andavano a caratteri, con marcatori testuali per indicare i comandi di formattazione. Il software Apple era rudimentale rispetto a WordStar, sia per le limitazioni hardware (display a 40 caratteri, maiuscoli con inversione colore per distinguere i caratteri), sia per il software, che non gestiva affatto formattazioni come il sottolineato, pur consentendo margini e giustificazione.
Nel memo ci sono varie parti sottolineate: all’epoca si sottolineava come con le macchine da scrivere, digitando il carattere, poi tornando indietro e battendo il trattino in basso.
Questo rende altamente improbabile l’uso di Apple Writer.
“Chi può giustificare le capacità di digitazione diretta e restituirà la sua macchina da scrivere avrà la priorità assoluta sulle installazioni Qume con tastiera/Apple.”
Qume (assieme a Diablo) era uno dei principali produttori di stampanti a margherita, e produceva anche macchine da scrivere interfacciabili, come la Sprint5. Il verbo al futuro suggerisce che, al momento del memo, in azienda non ce ne fossero ancora.
Gli indizi non portano a una certezza assoluta, ma a una soluzione probabile:
il testo del memo è molto probabilmente stato scritto su una macchina da scrivere, non su un sistema informatico.
E se vogliamo azzardare un’ipotesi con un pizzico di ironia, forse era persino una IBM Selectric.