Potenza che scompare

di | 5 Aprile 2015

Non avevo ancora quindici anni. Armato della Icarex 35S di famiglia, andai ad immortalare un evento di cui non comprendevo ancora bene la portata, ma che agitava – e non poco – la comunità cittadina. Ricordo ancora chiaramente le polemiche roventi, e le resistenze di una larga parte di quella che oggi definiremo socierà civile alle demolizioni di Vico Addone.
Sono eventi di cui oggi si è praticamente persa la memoria, che rimane viva solo nelle centinaia di articoli pubblicati in quei mesi sulle pagine locali di quotidiani e periodici del sud, visto che all’epoca la Basilicata era priva di quotidiani autoctoni.

Le demolizioni dei primi anni '70

Le demolizioni dei primi anni ’70

Oggetto del contendere erano le massive demolizioni previste nel quadro del risanamento del centro storico. Da una parte c’era una larga fetta trasversale di cittadini, che spingevano per un restauro conservativo di un’area tanto estesa, dall’altra la caparbia volontà di radere al suolo quella stessa area -oggettivamente degradata – per fare spazio al progresso che avanza: i grossi scatoloni di cemento che oggi sono il segno caratteristico e distintivo della nostra comunità.

Segno ben rappresentato da un quadro, esposto nel gioiellino del nostro Municipio, la Sala dell’Arco, che testimonia in modo esemplare questa condizione. Assemblando immagini di fabbricati esistenti, che si accavallano l’uno sull’altro, trasmette in modo diretto ed immediato il disordine che ha sempre contraddistinto la nostra città.

D’altro canto, per trovare l’origine di questo modo di agire bisogna andare molto indietro nel tempo. Fu l’intendente Winspeare che nel 1839 decise di demolire tre gruppi di case che si erigevano dinanzi al Palazzo del Governo per creare la ‘Piazza del Mercato’, successivamente intitolata al giurista e filosofo Francesco Mario Pagano, ma che per i potentini rimane ‘Piazza Prefettura’.

Il fenomeno nel tempo si è ripetuto e ripetuto, più e più volte. Aree del centro murato sono state demolite, o riadibite ad altre funzioni, e le persone che vi abitavano espulse e rilocate in periferia. Alla rottura di equilibri fisici si sono sommate anche fratture di tipo sociale.

Non è a caso che il prof. Corrado Beguinot nella relazione al suo piano, sviluppato per il comune negli anni ’70 e mai preso in considerazione, scrive:

Potenza è una città divisa, in cui due strati sociali lottano quasi da due secoli per assicurarsi il possesso del cuore civico, in cui gli stati di tensione interna, di coalizione, si esplicitano nelle disarmoniche volumetrie e nella tormentata morfologia urbanistico-edilizia.

Parole che, se pur scritte quarant’anni fa, continuano ad essere attuali, testimoniando l’esistenza di un fil-rouge che continua a srotolarsi, nonostante che le brutture degli interventi di quegli anni siano sotto gli occhi di tutti noi.

Solo cinque anni or sono furono messi i sigilli ai mercato dei poveri, l’ultimo presente nel centro storico, e che per i potentini era una istituzione che affondava le radici nella storia. All’epoca fu detto che le ragioni erano dovute al degrado igienico-sanitario dell’area, ma i rumors dei bene informati già rivelavano che il mercato sarebbe stato rimpiazzato da un altro feticcio del progresso che avanza, un parcheggio multipiano.

I lavori nell'area dell'ex-mercato dei poveri

I lavori nell’area dell’ex mercato dei poveri

Credo, però, che nemmeno i più pessimisti avrebbero mai concepito che la miopia umana consentisse di realizzare una pensilina di copertura per una scala ed un ascensore ad una manciata di metri da uno dei simboli della città: Porta San Luca.

Porta San Luca

Porta San Luca

Delle tre rimaste, è quella che ha più evidenti i connotati della porta, al punto che conserva ancora i gangheri in cui ruotavano i perni dei cardini. Porte che sono l’ultimo dei simboli di una città che ha oramai smarrito completamente la sua identità storico culturale.

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La splendido manufatto

Non sarebbe ora di spezzare questo filo e cercare concretamente di recuperare quello che rimane del retaggio dei nostri avi? Storia e tradizione non sono solo scritte sulla carta o affidate alla trasmissione orale di nonni e genitori, ma sono soprattutto scolpite nella pietra, indissolubilmente legate alle trasformazioni dell’ambiente in cui viviamo. Parole e voci possono essere inghiottite dal nulla. Il contenuto di blog come questo può essere dissolto con un semplice comando. Costruzioni, monumenti e feticci sono il legato di ogni generazione, e sono destinati a durare nel tempo.

Pur con la complicità delle calamità naturali, nelle ultime generazioni questo patrimonio è stato sistematicamente distrutto. Che sia dovuto al caso, alla incapacità o a scelte razionali è, dal mio punto di vista, scarsamente importante: sarà oggetto, come tante altre cose, di un giudizio affidato alla saggezza ed al distacco dei posteri.

Ma è un errore che non è più possibile ignorare, ed ogni giorno che passa è sempre più tardi.

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