5 centesimi per PzSmart

di | 26 Febbraio 2013

Sto seguendo con interesse le discussioni seguite al seminario sulle smart cities tenutosi a Potenza nei giorni scorsi e vorrei dare il mio modesto contributo al discorso in essere.

1. Wifi? No, grazie.

So bene di essere fuori dal coro in merito a questo punto, ma ritengo che il Wi-Fi libero sia un falso problema, per due ragioni principali.
La prima è di natura strettamente tecnologica: se per Wi-Fi intendiamo la tecnologia di collegamento senza fili definita dalla Wifi Alliance che opera sulla banda di frequenza di 2.4 GHz, si tratta di una tecnologia che non è nata, e non si presta, ad una copertura uniforme e diffusa del territorio. La trasmissione avviene su una banda definita ISM (Strumentazione, Medicina ed Industria) proprio perchè pensata per la implementazioni di piccole reti locali senza fili a corto raggio.
Questa spettro di frequenze è già molto affollata, proprio in virtù della quantità massiccia di reti wireless private attualmente esistenti. Nella stessa banda, inoltre, operano anche altri servizi, come – ad esempio – i radioamatori, che fra i 2.4 e 2.45 GHz allocano il traffico via satellite.
La  probabilità di interferenze, quindi, è molto alta ed aumenta man mano che la densità di copertura del segnale aumenta; e se è vero che il tipo di trasmissione adottato (a largo spettro come DSS e FHSS) rende la tecnologia relativamente immuni a disturbi ed interferenze, il rischio del blocco da congestione è tutt’altro che remoto.
La tecnologia Wi-Fi, poi, non prevede meccanismi tipici (ed essenziali) delle reti mobili, come il roaming e l’handover, che ne consentano un uso affidabile in movimento.

Sorvolo sulle attuali barriere normative, tipiche della nostra nazione, che oggi sarebbero comunque di ostacolo, ma che potrebbero essere facilmente superate.

Il secondo e più importante problema è quello della convenienza economica.
Partendo dal presupposto, purtroppo fin troppo realistico, che le risorse a disposizione per lo sviluppo tecnologico del territorio siano limitate, trovo del tutto illogico duplicare tecnologie già efficienti ed esistenti (quali UMTS, HSPA, LTE) che sono nate, invece, specificatamente per un diffuso uso mobile.
Una volta, è vero, vi era un serio ostacolo di tipo economico: l’accesso mobile alle reti cellulari offerto dagli operatori telefonici aveva costi decisamente proibitivi, sia per quanto riguarda i dispositivi fisici, sia per il costo spropositato del traffico dati.
In questa ottica un accesso di tipo pubblico aveva un connotato in un certo senso politico, visto che lo scopo finale era quello di un un accesso orizzontale alla rete ed ai suoi contenuti.
Oggi, però, i prezzi sono decisamente crollati: le chiavette si vendono a qualche decina di euro, la quasi totalità dei telefoni cellulari di ultima generazione possono essere collegati al calcolatore per condividere l’accesso dati.
Ma anche i piani tariffari si sono adeguati. Tutti gli operatoro offrono al giorno d’oggi accesso a cifre più che ragionevoli, per cui oggi per meno di 10€/mese si può avere traffico voce, SMS e dati. L’operatore Tre ha da poco avviato la commercializzazione di un piano a soli 4€/mese. Cifre che sono alla portata di tutti.
Inoltre, per chi è attento alle tendenze del settore delle reti cellulare, la direzione in cui il mercato si va muovendo è del tutto chiara: il business di domani non sarà più costituito dal traffico voce, ma da quello dati. L’incombenza di tecnologie di ‘voce su ip’ (come Skype o Sip) tenderanno a scavalcare per fatturato il traffico tradizionale come è già accaduto nel contronto fra i servizi di messaggistica ed i vecchi SMS. E’ più che lecito aspettarsi da questa situazione una ulteriore diminuzione dei costi di connessione.
Le reti cellulari offrono un ulteriore vantaggio: consentono un accesso ubiquo, laddove una rete Wi-Fi cittadina sarebbe in grado di coprire solo una frazione del territorio comunale.
Io personalmente considero uno spreco il duplicare un servizio già esistente, sufficientemente affidabile, economico ed ubiquo, con uno sicuramente meno efficiente ed affidabile e dai costi incerti.

Considerando la mia storia personale in materia, sono la prima persona ad affermare che la possibilità di accesso alla rete sia un elemento chiave per la libertà e la promozione individuale, ma credo che sia interesse della collettività trovare soluzioni diverse dal Wi-fi libero per garantirne l’opportunità anche alle persone che si trovano in situazione di svantaggio.

Una ultima considerazione: agli inizi del mese di febbraio, il Washington Post, che come è noto è un quotidiano generalista, ha pubblicato un articolo in cui affermava che il governo statunitense avrebbe la volontà di realizzare una super rete wi-fi pubblica a copertura nazionale.
Nell’articolo si ipotizzava l’implementazione di una nuova tecnologia: I segnali radio che i funzionari della FCC (l’ente regolatore delle comunicazioni americano, ndr) vogliono rendere pubblici sarebbe molto più potenti delle reti WiFi esistenti, tanto comuni nelle famiglie. Sarebbero in grado di penetrare spessi muri di cemento, superare colline ed alberi. Se tutto va come previsto, il libero accesso al Web sarà disponibile in quasi ogni area metropolitana e in molte zone rurali. Un quadro di prestazioni non molto fondato sotto il profilo strettamente tecnico.
Come è facile immaginare, la notizia ha avuto una grande diffusione anche nel nostro paese, proprio perchè era di supporto alle tesi relative alla liberalizzazione delle reti di accesso.
Qualche giorno dopo, però, alcuni siti specializzati, fra cui spicca ars tecnica, hanno messo in discussione la notizia, che in effetti non è nuova: gli USA hanno un grossissimo problema di digital divide, che contano di colmare proprio con reti senza fili. Per rendersi conto di quanto sia scarsa la copertura delle reti tradizionali basta dare una occhiata alla mappa del colosso AT&T, e constatare quanto vaste siano le aree non servite, o in cui è disponibile solo tecnologia edge. Situazione ben peggiore di quella italiana.
Il problema è che per fare una rete di questo tipo, a parte una tecnologia ancora da definire, sarà necessario liberare delle frequenze radio che, negli USA come in Italia, portano alle casse statali ingenti proventi di concessione. Se una rete di questo tipo si farà, cosa tutt’altro che certa, ci vorrà comunque molto tempo, mentre gli osservatori del settore sono abbastanza concordi nel dubitare fortemente che sarà comunque ad accesso gratuito.

2. Mobilità

La mobilità è una delle aree in cui si potrebbero efficacemente applicare le TLC alla città di Potenza per rendere il trasporto pubblico più vicino al cittadino.

Non credo di essere l’unico a desiderare un significativo miglioramento del servizio di mobilità pubblica. Certo, Potenza ha dei vincoli strutturali che sono difficilmente sormontabili, che vanno da una parte ricercati nella natura stessa del terrirorio, ma anche nel modo in cui si è lasciata sviluppare la città. Strade strette e tortuose, l’impossibilità di creare corsie preferenziali, l’assenza di collegamenti trasversali, sono tutti ostacoli che si frappongono quotidianamente all’erogazione sul territorio di un servizio di mobilità rapido, efficiente e puntuale.
In mancanza di questi elementi il servizio diviene incerto, ed è comprensibile che questo stato spinga chiunque debba spostarsi per lavoro a preferire il mezzo privato alla mobilità pubblica.

Ma che cos’è l’incertezza se non mancanza di informazione? C’è un modo semplice e relativamente economico per colmare questa carenza: tracciare i mezzi pubblici. La tecnologia attuale consente di farlo in modo semplice ed economico. Installando dei dispositivi GPS che rilevano periodicamente la posizione del veicolo, autobus o treno metropolitano che sia, e trasmettono i dati ad un centro di coordinamento è possibile localizzarne e registrare i dati di movimento. Analizzando ed incrociando i dati provenienti da tutti i mezzi in servizio è possibile in modo relativamente semplice stimare i tempi di arrivo della corse ad ogni singola fermata e, volendo, calcolare anche i tempi di  percorrenza verso gli altro punti della rete di trasporto pubblico cittadino. Un approccio che consentirebbe di suggerire all’utenza la soluzione in grado di portare a destinazione il passeggero nel più breve tempo possibile.
Queste informazioni potrebbero essere disponibili in modo più dettagliato ed esaustivo ai passeggeri dotati di terminali mobili, utilizzando una applicazione web, mentre una indicazione più generale dovrebbe essere veicolata per mezzo di pannelli a messaggio variabile installati ad ogni fermata.

In presenza di una informazione corretta e diffusa, aggiornata in tempo reale ed in grado di fornire una stima attendibile dei tempi di percorrenza, una larga fetta di popolazione sarebbe sicuramente invogliata a lasciare a casa il mezzo privato ed ad utilizzare il trasporto pubblico.
I costi di un sistema di questo tipo sono sicuramente frazionari rispetto all’impianto ed alla gestione di una rete pubblica del tipo di quella descritta nel capitolo precedente. Le ricadute potrebbero essere decisamente più interessanti, sia in termini di mobilità che di miglioramento dello stato dell’ambiente. Tutti elementi che contribuirebbero ad accrescere la qualità della vita.

3. Società e governo del territorio

Credo che questa sia l’area in cui si possa ottenere il massimo risultato dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, anche visto che il nostro territorio soffre di una chiusura, atavica, che stenta ad attenuarsi nonostante il passare dei tempi.
Io concepisco il  rapporto fra il cittadino e il sistema di governo del territorio come una sorta di  circuito ad anello chiuso: gli elettori mandano al governo i loro rappresentanti, questi fanno il loro lavoro amministrando la cosa pubblica, gli  elettori a posteriori valutano il lavoro dei rappresentanti e in base a questo decidono se rinnovare il mandato o no, ritornando al punto di partenza.
E’ evidente che quanto più lungo e lento è il ciclo di questo anello, tanto meno efficace è la possibilità per il cittadino di interagire con il sistema. Credo che la richiesta di accorciare il distacco fra la base e le istituzioni sia oggi una esigenza primaria chiara per tutti.
Utilizzando le tecnologie dell’informazione è possibile velocizzare questo anello,  per ottenere sia un miglioramento dell’azione di governo, che della soddisfazione generale dei cittadini.
Credo sia abbastanza evidente che il primo passo ottenuto con i meccanismi di trasparenza sia un punto di partenza e non un traguardo. La pubblicizzazione degli atti delle amministrazioni, ad esempio, sicuramente fornisce un elemento di chiarezza di gestione. Si tratta però di una comunicazione meramente unidirezionale.
Per me risulta fondamentale ed indispensabile mettere in piedi un sistema che consenta una sostanziale, stretta interazione  fra il sistema di governo e la cittadinanza. Un meccanismo che metta il cittadino nelle condizioni di esprimere il suo parere, di fare conoscere il suo punto di vista, far circolare idee ed opinioni.
Questo tipo di confronto può solo avere effetti positivi:  chi governa la cosa pubblica si troverà inevitabilmente a prestare maggiore attenzione a tener fede gli impegni presi al momento della elezione, ma allo stesso tempo darà agli eletti la possibilità di reagire con maggiore tempestività alle mutate condizioni al contorno e, quindi, di fornire un servizio più efficace.
Un metodo per ottenere questo risultato è quello di creare una rete di collegamento sul territorio che integri le amministrazioni ed i cittadini in una sorta di comunità virtuale cittadina, sovrapposta a quella fisica ed organizzata come una sorta di agorà. Una struttura di questo tipo darebbe benefici ulteriori ad un territorio, come quello in cui viviamo, che – per vincoli sia fisici che culturali non consente facilmente la creazione di reti di relazione, e che dovrebbe superare i limiti delle reti sociali tradizionali, come facebook, twitter o Google+, che sono orientate al rapporto interpersonale e che pur concentrando una larghissima quantità di informazione, la custodiscono in maniera sostanzialmente destrutturata, rendendola, quindi, di difficile fruizione.
Un ambiente simile potrebbe fare crescere in modo sostanziale la consapevolezza collettiva del nostro territorio, ed al tempo stesso rafforzare la nostra identità culturale, la conoscenza della nostra storia, il nostro common ground.
Non dobbiamo dimenticare che uno dei paradigmi delle smart cities è costituito dalla smart people: il bene più grosso, da conservare e preservare, per un qualsiasi territorio, è fondato sul capitale umano delle persone che lo compongono.
E’ indispensabile investire su quello.

4. Economia

Io appartengo alla sparuta minoranza di coloro che non hanno particolare simpatia per Steve Jobs. Gli riconosco, però, di avere molto ben sintetizzato la filosofia di vita delle tantissime persone che guardano al futuro con creatività. Quel quel Stay foolish, stay hungry (che io traduco liberamente come sempre fuori dal coro, sempre a caccia di nuovo) è una bellissima esortazione a chiunque voglia confrontarsi con le sfide del futuro. Orizzonte che deve essere scrutato con occhi nuovi: gli occhi dei bambini, che non hanno schemi preconcetti in mente e che estraggono la loro conoscenza dall’ambiente che li circonda.

Siamo nel XXI secolo ed oggi diamo per scontato il fatto che la tecnologia ci abbia messo in grado di comunicare istantaneamente con ogni parte del mondo.  Molti, temo troppi, non si rendono conto di quanto questo possa essere un vantaggio competitivo enorme per chiunque sia in grado di comprenderlo, gestirlo e sfruttarlo.
Alcuni stati esteri negli anni passati hanno scommesso su questa sfida, e su di essa hanno fondato scelte chiave per il loro futuro.  L’idea di fondo è semplice, se non banale. Per sviluppare l’economia dei beni materiali è necessario investire pesantemente in infrastrutture costose – come autostrade, ferrovie, porti – con tempi di realizzazione molto lunghi. Per sviluppare l’economia dei beni immateriali servono comunque delle infrastrutture, ma enormemente meno complesse, più economiche e di rapida realizzazione.
L’investimento nelle semplici infrastrutture necessarie a favorire l’economia della conoscenza è però in grado di portare in un’area svantaggiata tangibili risultati immediati: incremento delle opportunità offerte al territorio, miglioramento del tenore di vita, sviluppo del capitale umano di cui parlavo prima e, indirettamente, diminuzione della fuga di cervelli che ha sempre caratterizzato tali situazioni di svantaggio.
Poi, per quanto possa apparire strano, l’economia della conoscenza potrebbe addirittura beneficiare di un tale tipo di localizzazione, essenzialmente grazie ad una generale migliore qualità della vita ed a costi accessori più bassi rispetto alle grandi aree industrializzate.

Io vivo un po’ al di fuori del contento sociale locale – quindi la mia è una sensazione non basata su fatti oggettivi – ma l’idea che mi sono fatto nel corso degli anni è che comunque sotto questo aspetto da noi si sia fatto poco o nulla. Mi piacerebbe essere smentito, perchè se ciò fosse vero sarebbe un gran peccato.
Così come non percepisco, da cittadino, la presenza dell’Università – che pure ha corsi di laurea tecnica nel campo delle tecnologie informatiche – nel tessuto sociale del nostro territorio.
Può darsi, e spero, che si tratti solo di un problema di comunicazione, perché credo che l’Università abbia il dovere di avere un ruolo propulsivo, e non solo formativo, in questo ambito, nonché di pungolo verso chi ha le chiavi della programmazione del nostro futuro, perché si presti la giusta attenzione a questo segmento macroeconomico che, a mio parere, non possiamo permetterci di trascurare.

Io credo che in quest’area bisogna sforzarsi di dare di più, di fornire maggiori opportunità. Si tratta di investimenti tutto sommato modesti, se paragonati ad altre iniziative forse più banali. Ma si tratta di lavorare a più livelli per fare crescere la consapevolezza del fatto che l’economia della conoscenza può svolgere un ruolo primario non solo nello sviluppo del nostro territorio, ma anche nella promozione individuale di chiunque si approcci a questo mercato con gli occhi giusti.
Ma bisogna essere creativi.
Qualche settimana or sono a Ballarò è stato trasmesso un servizio sui giovani delle startup informatiche.  Anche se a mio parere non si è trattata di un resoconto eccessivamente obiettivo, è venuto comunque fuori uno spaccato sconfortante, con l’appiattimento totale a modelli oggettivamente irreali, come l’omologazione al mito di Jobs e di Zuckerberg e il sogno della killer application con cui in pochi anni ci si possa ritirare e vivere di rendita.
Mirare alto può essere giusto, ma troppo in alto, no. Bisogna andare per gradi, altrimenti si rischia di schiantarsi prima di iniziare. Soprattutto, bisogna evitare di ripercorrere le orme degli altri, che invece sembra una strada comune a tanti, e non solo nel campo tecnologico.
In questo credo sia necessario avviare un’opera di sensibilizzazione partendo dalle scuole, ma operando a larghissimo spetto: perché ci si possa evolvere in questa direzione è necessario diffondere la cultura necessaria a comprendere e dominare le tecnologie moderne a tutte le fasce di età. Competenza è la sola parola magica che può mettere in grado le persone a cogliere le opportunità che possono presentarsi.

Credo che questa debba essere la nostra missione per il futuro prossimo venturo, e quali soggetti possono mai essere migliori di Scuola ed Università per raggiungere lo scopo finale?

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