Sei gradi di separazione

di | 7 Febbraio 2016

Una vecchissima teoria,  formulata novant’anni fa, ipotizza che ogni persona può essere connessa ad una qualsiasi altro individuo sulla terra attraverso una catena di relazioni con non più di cinque intermediari.

Detta così potrebbe sembrare una ipotesi strampalata, visto che a formularla non è stato uno studioso di sociologia, bensì uno scrittore ungherese, di nome Frigyes Karinthy, in un racconto breve intitolato Chains – Catene.

La teoria era però intrigante, al punto di stimolare l’inventiva degli scienziati. Negli anni ’50 un primo approccio matematico al primblem a firma Ithiel de Sola Pool, sociologo dell’ M.I.T. di Bostom e Manfred Kochen, matematico di IBM, non portò a risultati soddisfacenti.

Alla fine degli anni ’60 il sociologo statunitente  Stanley Milgram ideò un ingegnoso esperimento per verificare la lunghezza delle reti sociali negli USA. Milgram spedì della corrispondenza a 160 persone, scelte casualmente, con la richiesta di inoltrare il plico ad un amico o conoscenze nelle vicinanze del destinatario finale, un intermediario finanziario di Boston. Le regole erano che l’amico o conoscente fosse una persona conosciuta direttamente, e che le stesse regole venissero rispettate in ogni passaggio della catena. I risultati furono sorprendenti: il primo plico raggiunse la destinazione in solo quattro giorni (sicuramente i servizi postali a quel tempo funzionavano meglio di oggi) e con soli due passaggi intermeti. I risultati generali spaziarono fra due e dieci intermediari, con una media appunto di cinque intermediari. Nonostante Milgram nei suoi lavori non abbia mai citato la teoria di Karinthy, il risultato del suo esperimento ne era una conferma piena.

Nel 2001 Duncan Watts, ricercatore della Columbia University, fece un esperimento analogo utilizzando internet e la posta elettronica, ed analizzando 48000 messaggi inviati verso 157 paesi giungendo a risultati sostanzialmente analoghi. Esperimento replicato nel 2008 da una analisi di oltre 30 miliardi di messaggi e-mail elaborati dai server di Microsoft, che portava ad un risultato di 6.6 gradi di separazione.

Oggi, nell’epoca incontrastata dei social network, per analizzare il livello di interconnessione non serve più spedire pacchetti a caso: è sufficiente analizzare i dati conservati nei database della più importante realtà planetaria, Facebook.

Un primo verdetto era già stato formulato nel 2011, con uno studio congiunto fra il colosso americano, l’Università degli Studi di Milano e la Cornell University. All’epoca, con 721 milioni di utenti, il valore medio era stato di 3.74, ben più corto di quello registrato solo un decennio prima.

Lo studio attuale, pubblicato pochi giorni fa sul blog dell’area di ricerca del social network, analizza le relazioni di 1 miliardo e 600 milioni di utenti attivi, e giunge alla conclusione che il valore si è ulteriormente accorciato, con una media attuale di 3.57. Negli USA il valore è ancora più corto, 3.46.

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Visitando la pagina è possibile conoscere anche il proprio valore

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E’ simpatico notare come Sheryl Sandberg, direttore operativo di Facebook, sia più ‘connessa’ del suo fondatore, Mark Zuckenberg.

Una curiosità: il nome della teoria è stato usato per quello che è stato definito come il primo social network della storia, sixdegrees.com. E’ stato in servizio dal 1997 al 2001 ed è stata la prima realtà telematica a fare leva sulla rete delle conoscenze.  Nonostante sia arrivato ad avere oltre tre milioni di utenti, un numero rilevante in relazione alle dimensioni della rete a cavallo del 2000, non riuscì a sfondare, probabilmente perché era troppo avanti per i tempi.

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La foto del titolo è un fotogramma del film Sei gradi di separazione, che ha contribuito a rendere popolare l’originale teoria.

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